domenica 25 dicembre 2011

Farrokh Bulsara

Bronson. Charles? No, cioè sì, anche, ma Ravenna. Il Bronson.
E fu così che arrivò Frank Turner.
Ottimismo cosmico volle il biglietto in prevendita perchè chissà quanta gente...
Università - Bronson in due ore e 14 a faro spento nella notte. Ford Polifemo. 
Welcome Frank! Sì, bravo, era a Brescia la prima volta, e io non c'ero, ballavo, da qualche parte, a Venezia.
E anche se c'era meno gente di quanta ne avessi prevista, e anche se soffio riflessioni da terzo mondo italico fra belle sorprese indiane in autogrill e sonni da camionista ucraino, grazie per la generosità, onesta e vera. E fra tante canzoni regalate a tutta, con una band perfetta, grazie per una cover: mi ha fatto ritrovare un amico che non vedevo da parecchio. E a che serve una cover se non per riannodare un amore? C'è stato un tempo in cui era spesso al mio fianco, tanto da chiedergli il nome per avvolgerci un cane, il mio, l'unico. Ciao Freddie! Scopro che avresti potuto essere Farrokh... Buffo no?



...not everyone can be Freddie Mercury...

Che iddio ti cerry!

sabato 26 novembre 2011

Dalla Cina con furore

In Cina c'è la pena di morte, in Cina si lavora come bestie, in Cina non esiste la democrazia (mentre da noi...), però, in Cina, sembra si muovano anche altre cose... Certo, non è Utopia, è solo la Cina, ma intanto, visto che qui non si parla d'altro che di "spread" meglio volgersi a Oriente, per non rompersi i coglioni e impegnare la testa in viaggi più stimolanti sui futuri possibili. Chissà dov'è la civiltà?
Di ritorno da uno dei suoi viaggi in Oriente, Marco Polo mi ha fatto notare che, tanto per fare un esempio, i Suv di matrice americana sono stati classificati come oggetti da rottamare, attraverso le parole della definitiva sentenza del ministero dell'Industria cinese che li ha giudicati "incompatibili con le politiche di promozione di una mobilità più rispettosa dell'ambiente e più libera dall'egemonia del petrolio" (minchia! Il buon senso fatta sentenza di stato, magari avvenisse anche qui, chissà forse un giorno...). Qui da noi, tanto per fare un esempio, quando durante il governo Prodi emerse la notizia che si volevano tassare i Suv, il grande popolo dell'inciviltà nazionale insorse e il pavido governicchio fece subito marcia indietro... Qui da noi quando la giunta Pisapia cerca di far passare qualche nuova idea in tema di traffico, mobilità urbana e sensibilità ecologica, il grande popolo della comodità inutile e del suicidio di massa insorge rompendo i coglioni perchè senza la macchina non si può...


Ma lasciamo parlare chi ne sa di più:

Pechino. La Cina è pronta per diventare il "motore verde" del secolo. Il 2011 resterà nella storia del mondo come l´anno in cui la nuova potenza globale ha scelto la strada dell´ambiente. Il primo inquinatore del pianeta, la nazione più avvelenata e quella che consuma più energia, avvìa la più impressionante "svolta verde" mai tentata da un Paese industrializzato. L´obiettivo è titanico, ma può consegnare a Pechino la leadership sostanziale del progresso: diventare il faro scientifico ed economico della crescita compatibile con la vita. La data di annuncio della grande trasformazione cinese, destinata a sconvolgere i sistemi produttivi ed energetici mondiali, è fissata per metà dicembre. Quel giorno il governo varerà il dodicesimo piano quinquennale sulla tutela ambientale e la Cina degli ultimi trent´anni, fondata sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, andrà definitivamente in archivio.
Le misure della grande svolta, che supererà con un balzo auspici e disattesi impegni internazionali dell´ultimo decennio, restano coperte dal segreto. Fonti del ministero della protezione ambientale anticipano però alcuni dei provvedimenti più importanti, che saranno presentati a fine novembre a Durban nel corso della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici.
Pechino, che in vista del Sudafrica ha pubblicato ieri il suo libro bianco sul clima, annuncerà lo stanziamento record di un miliardo di euro per migliorare l´efficienza energetica entro il 2015. Le centrali elettriche a carbone, che coprono l´80% del fabbisogno nazionale, nel prossimo ventennio andranno per sempre in pensione. L´approccio pubblico sarà di mercato: chi taglierà prima le emissioni inquinanti si vedrà riconosciuto un prezzo più alto per l´energia, sgravi fiscali e un numero maggiore di clienti. Un principio semplice: meno inquini, più guadagni.
Alla ristrutturazione energetica corrisponderà una rivoluzione edilizia. La più massiccia urbanizzazione della storia produce oggi in Cina due miliardi di metri quadri all´anno di nuove costruzioni. Oltre il 95% dei palazzi sono ad alto sperpero energetico. Investendo 500 miliardi di euro, Pechino punta a trasformare radicalmente il settore, eleggendolo a punta avanzata della ricerca nel campo del risparmio energetico e ambientale. La rivoluzione verde che sta per investire industria, energia e costruzioni, sarà completata da stanziamenti senza precedenti per il recupero dell´ambiente distrutto e per la creazione del più grande sistema al mondo di trasporti a impatto zero. La Cina si appresta ad annunciare altri mille miliardi in cinque anni per la nascita di metropoli asiatiche di nuova generazione: mezzi pubblici a impatto zero, strade e palazzi ideati come centrali termiche, alimentate da risorse rinnovabili e naturali.
Pur senza sottoscrivere impegni internazionali vincolanti, le autorità cinesi confermeranno l´impegno a ridurre le emissioni di carbonio del 40-45% entro il 2020. Investimenti colossali saranno così riservati alla riforestazione e alla tutela dell´area maggiormente sconvolta dal cambiamento climatico: l´Himalaya. In dieci anni, per rallentare la desertificazione, saranno impiantati 40 milioni di ettari di boschi e sull´altopiano tra Tibet e Qinghai verrà istituita la più vasta riserva naturale dell´Asia: tutta oltre quota 4 mila, avrà la missione di salvare i tre più importanti fiumi del continente e di evitare che lo scioglimento dei ghiacciai porti ad un innalzamento dell´oceano Pacifico tale da sommergere 80 mila chilometri quadrati delle coste orientali della nazione.
È una disperata corsa contro il tempo. Raggiungere il primato mondiale della crescita e della ricchezza ha trasformato la Cina in una bomba ecologica ad orologeria. La qualità dell´aria, secondo l´Oms, è ad alto rischio per la salute. Fiumi e laghi sono discariche tossiche, ormai prive di vita. Intere regioni sono ridotte a contenitori di scorie pericolose e non smaltibili. Una situazione drammatica, tale da spingere il presidente Hu Jintao a rivolgere un appello alla comunità internazionale. «La Cina darà priorità assoluta all´economia verde - ha detto al vertice Apec di Honolulu - ed è decisa ad attirare gli investimenti stranieri. La nuova industria cinese dell´ambiente produrrà 350 miliardi di euro entro il 2015 e rappresenta la più importante opportunità di profitto per le multinazionali di tutto il mondo. A patto di scongiurare nuove barriere al commercio verde».
Prima del 28 novembre sarà inaugurato a Pechino il Centro per la cooperazione e la ricerca strategica sui cambiamenti climatici. Potrebbe essere scambiato per l´ennesimo think tank mangia-soldi. Impegnerà invece per la prima volta i migliori scienziati, ricercatori e analisti economici asiatici su un unico obbiettivo: trasformare l´emergenza-ambiente nella spinta definitiva alla ristrutturazione economica cinese e nel più grande affare globale del secolo. Il vice premier Li Keqiang, davanti a mille tra i più importanti businessman internazionali, lo ha riassunto così: «La nostra scelta è assunta: affidare all´innovazione, alla ricerca e al miglioramento della qualità della vita, l´espansione della domanda interna e dunque la stabilità della crescita. Diminuiremo del 16% il consumo di energia per unità di Pil e aumenteremo del 4% il valore aggiunto del terziario».
Disinnescare la bomba ecologica del pianeta per renderla il cavaliere verde del mondo sortirà conseguenze enormi. I funzionari cinesi calcolano che nel breve termine il Paese perderà quasi 1 milione di posti di lavoro, 10 miliardi di produzione e 15 miliardi di esportazioni. In cambio risparmierà 150 miliardi di costi energetici, mentre l´eco-industria frutterà 810 miliardi di euro e 11 milioni di posti di lavoro in due anni. «Scongiureremo però - spiega il viceministro per l´ambiente Li Ganjie - la definitiva compromissione di territorio e atmosfera entro il 2020 e una crisi idrica che può paralizzare l´economia. E dopo i primi cinque anni, l´economia verde sarà la prima voce del reddito nazionale».
La Cina è già il primo produttore mondiale di pannelli solari e fotovoltaici, di energia eolica e di centrali a biomassa. Nel 2009 ha investito 35 miliardi di euro in energia pulita, contro i 51 degli Usa, ma nel 2010 ha consumato il sorpasso: 58 miliardi contro 49. Entro il 2050 potrebbe raggiungere i mille gigawatt di potenza eolica, pari al 17% dell´energia autoprodotta, per 750 mila nuovi posti di lavoro. All´orizzonte si profila però lo scontro epocale con gli Stati Uniti per il controllo dell´industria e del commercio più contesi del futuro. Washington accusa Pechino di dumping-verde, ossia di invadere il mondo con pannelli solari e fotovoltaici a prezzi ribassati fino al 250% grazie alle sovvenzioni di Stato. La Cina risponde che è la sola via per assorbire i dazi Usa e avverte che una riesplosione di protezionismo e blocco delle tecnologie può condannare il pianeta alla catastrofe.
L´esito della storica svolta-verde della Cina resta un´incognita. Il fatto che stia per iniziare è però una certezza. Non solo perché economia e natura non hanno alternative. La molla principale resta politica. La popolazione cinese, a un passo dal benessere, non accetta più di essere decimata dall´inquinamento. L´80% degli abitanti si dichiara «insoddisfatta» dalla qualità dell´ambiente e mette sotto accusa imprenditori e funzionari di partito, imputati di aver creato canali riservati per cibo biologico, acqua pura e aria filtrata da depuratori speciali. Le sommosse ecologiche, per la prima volta, dilagano nel Paese, minacciano la stabilità e allarmano una leadership impegnata in un difficile passaggio generazionale del potere. Pechino punta sul verde per cambiare sistema economico, rilanciare la crescita globale e ricostruire la natura che ha distrutto: si muove però, prima di tutto, per salvare il proprio potere autoritario. 

Ovviamente, ma intanto si muove...

Che iddio ti cerry!

giovedì 17 novembre 2011

Faccio festa con Pina!

Faccio festa!
Certo, nonostante qualche stronzetto saputo, tra cui il direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli, fosse lì a ricordarci che non c'era un cazzo da festeggiare ma c'era da impegnarsi e da lavorare per far andare meglio le cose, ho fatto festa e continuo a festeggiare le dimissioni del patetico pagliaccio che occupava la carica di Presidente del Consiglio nel mio Paese.
Caro De Bortoli, c'è chi il suo dovere cerca di farlo con o senza i pagliacci che si avvicendano nel grande circo inutile con cui riempi gran parte di quello che è il tuo giornale, e quindi, se permetti, abbiamo tutto il diritto di festeggiare, senza smettere di fare il nostro dovere. Capisco che nella tua ingessatura forse ti è difficile immaginarlo, ma la festa e il lavoro, possono anche stare insieme, anzi, in casi fortunati come il mio, che ho la fortuna di lavorare con e per i bambini, posso dire che festa e lavoro siano la stessa cosa, quindi rispedisco al mittente l'inutile demagogia e il tuo grigio senso di responsabilità (di "responsabili" ne abbiamo avuti abbastanza negli ultimi tempi). Sabato ho festeggiato sì, piazza del Duomo a Milano certo non era Roma, ma valeva comunque la pena di condividere un altro piccolo momento di liberazione (così come era già avvenuto dopo la vittoria nelle amministrative di Pisapia per la liberazione dalla Moratti) e poi, siccome ognuno ha il diritto di festeggiare un pò come cazzo gli pare, sono andato a vedermi "Pina", il meraviglioso omaggio di Wim Wenders a Pina Bausch.
 
"Danziamo, danziamo altrimenti siamo perduti."

 
Perdonami ancora un secondo, De Bortoli, ti trascrivo un pezzo preso dall'editoriale di Giovanni De Mauro, un tuo collega, che ho trovato abbastanza interessante:
"L'Italia è l'unico paese al mondo in cui i quotidiani pubblicano ogni giorno decine di interviste ai leader politici. Sui giornali stranieri, invece, sono un genere rarissimo, un evento eccezionale. Basta fare un confronto per averne una conferma. In un giorno qualunque, sui più importanti quotidiani francesi, spagnoli, inglesi, tedeschi e statunitensi non c'è quasi traccia di interviste, mentre sfogliando un quotidiano italiano se ne possono contare fino a quattordici. All'estero, soprattutto negli Stati Uniti e in particolare quando si tratta di grandi intellettuali, la persona intervistata si fa pagare. E non ha tutti i torti, perchè chi viene intervistato fa la parte più difficile. Sono sue le idee e le parole. Il giornalista deve solo scegliere le domande e trascrivere le risposte. Tutte le volte che in un giornale italiano esce un'intervista, dovremmo ricordarci che quello stesso spazio potrebbe essere occupato da un articolo in cui le idee del politico di turno sono selezionate, analizzate e messe a confronto con le idee di altri. Dietro a ogni intervista si nascondono spesso un giornalista pigro e un politico a cui viene data troppa importanza."

C'è un nuovo governo ora.  
Si insiste, con la solita pervasiva semplificazione giornalistica risparmia-neuroni, che questo è un governo di "tecnici", ovvero un governo composto da persone "competenti", e se ne sottolinea l'assoluta novità. In effetti, verrebbe da dire... Ma un pò girano i coglioni perchè... Perchè allora non sottolineare, con la stessa semplice e pura evidenza, l'incompetenza dei precedenti? E non dico adesso, ma nel corso di tutti i precedenti 17 anni, per esempio, (esclusi i governi del centro-sinistra ai quali quantomeno si può riconoscere, in certi casi, di aver cercato di assegnare alcune responsabilità ad alcune persone proprio in virtù di una, apparentemente scontata ma purtroppo così rara, "qualifica professionale" come la competenza in materia). Perchè accreditare come "classe dirigente" personaggi del calibro di Silvio Berlusconi, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Umberto Bossi, Roberto Castelli... la cui "colpa", sia chiaro, non è quella di pensarla in un modo diverso da me o di andare con le puttane, ma è piuttosto quella di essere dei fottutissimi ignoranti e incompetenti. Perchè il buon De Bortoli, dal suo giornale (che è stato anche "Il Sole 24 ore" - Per inciso, un titolo del genere, cos'è? Un incitamento a non smettere mai di lavorare? Una invocazione all'evoluzione del modello giapponese? Una poetica presa di posizione e affermazione d'intenti "padronale"?) non si è speso ogni santo giorno in questi ultimi 17 anni per sottolineare l'evidente INCOMPETENZA di Silvio Berlusconi & C. invece di annoiarci con le implicazioni giudiziarie e il conflitto di interessi e i festini e le puttane?
La competenza, credo, dovrebbe essere un prerequisito, non una caratteristica, di un governo o di un ministro. E la sua dimensione "politica" dovrebbe stare proprio nel COME decide di utilizzare quella competenza, perseguendo quali fini, in nome di quale visione della società e del mondo.
In un paese normale, almeno credo... no?
Qui invece pare che ci tocchi eleggere la competenza a valore assoluto, quasi fosse l'eccezione e il segno distintivo aureo. Personalmente accolgo con piacere questo nuovo governo (visto il precedente avrei accolto con piacere e sicuramente preferito anche un governo presieduto da Godzilla e con i Gremlins al Ministero dell'Interno), nell'attesa di verificarne l'effettiva competenza (non basta essere un docente universitario per saperci fare, altrimenti un perfetto idiota come Rocco Buttiglione sarebbe un filosofo invece di un docente di filosofia) posso almeno riconoscergli una dignità che ai pagliacci che l'hanno preceduto era impossibile riconoscere. Ciò ovviamente non significa che questo governo sia il mio governo, ciò non significa che la competenza di questi signori sarà al servizio della mia stessa visione del mondo (e d'altra parte non ho la pretesa di plasmare il mondo a mia immagine e somiglianza) ma per dio! che almeno questa tanto decantata competenza si manifesti e si concretizzi in una azione di governo degna di questo nome, e contro la quale magari lottare, ma all'interno di un confronto leale, dignitoso e non umiliante e caratterizzato dall'arroganza e dall'insulto buttati lì a nascondere l'abissale vuoto di contenuti e idee come avvenuto fin qui. Vorrei riuscire magari anche ad imparare qualcosa da chi mi governa. Vorrei potermi rileggere il discorso di un membro della nostra classe dirigente e trovarci qualcosa di importante, così come accade di fronte ai discorsi e agli scritti che ci hanno lasciato personaggi del calibro di Piero Calamandrei, Sandro Pertini, Enrico Berlinguer... (se proprio non vogliamo scomodare dei giganti come Antonio Gramsci) o dobbiamo rassegnarci a che gli unici scritti che resteranno fra i documenti di questa classe dirigente saranno le prescrizioni di Viagra e il foglietto con sopra scritti i "traditori"?

Che iddio ti cerry!

mercoledì 9 novembre 2011

Bobo è tornato! Con Franco...

Quest'estate mentre lo vedevo in concerto mi dicevo "Madonna bonina quanto sei bravo Bobo!" e poi mentre me ne tornavo a casa felice pensavo "Ma se stai così in forma, che aspetti a far uscire un disco nuovo?"
E infatti... eccolo qui il disco nuovo! Signore e signori: Bobo Rondelli è di nuovo tra noi e siccome gli piace far le cose per bene e non farsi mancare niente, ecco spuntare fra le pieghe del nuovo disco pure Franco Loi, amatissimo poeta che scrive nel mio dialetto, e dice nel mio dialetto, così come gli lascia fare Bobo (e vale la pena comprare il disco anche solo per sentire la poesia di Franco, subito tradotta in musica - e in italiano - dallo splendido Bobo). Se volete ascoltare Franco compratevi il cd, mentre la traduzione in musica del Rondelli eccola qui e ... crepi l'avarizia!
Dedicata a un trattorino, che un giorno, a Roma, aspettava un autobus che l'avrebbe portata via, lasciandosi soffiare le parole sconosciute di Franco Loi dalle mie labbra innamorate alle sue orecchie straniere, che chissà cosa vollero sentire e chissà cosa intesero...



E questo invece è puro Franco Loi:

Sè l'è el giogh? L'è libertà, amur,
gioia de viv, sta insèma ne la vita,
dàss aj so angiul, tràss fora del dulur
e alura dèm aj omn sta cumparsita
de pulverina che je fa insugnà,
stu bèl brusà de l'anf a de la vita
che cun l'amur te ciama al sumenà...
Se pensi al Paradis nient l'è pu bell
del sant enamurass e del giugà,
e, alura, cume dil?, squasi un barbell
me vegn nel sta a pensà al me giugà
e inscì me sun decis: un bel carèll
de palla prigioniera, e un gran saltà
de corda e cun la lippa, e, squasi in fund...
la toppa e 'n te-ghe-let che fa palpà...
L'è 'l me regal, el testament al mund...
Dopo tantu parlà, e cuntavsù la storia
de l'angiul che sun stà e vagabund,
me resta duma el temp de cantà i gloria,
avelià l'umbra d'un diu nel voster piatt
e po mis'cià la mia vostra memoria
e fav balà fra i stell, returnà matt.

(Cos'è il gioco? E' libertà, amore / gioia di vivere, stare insieme nella vita, / darsi ai propri angeli, strapparsi fuori dal dolore, / e allora diamo agli uomini questa bella ballata / di polvere magica che li faccia sognare, / questo bel dar fuoco agli affanni della vita / che con l'amore ti chiama al seminare... / Se penso al Paradiso niente è più bello / del santo innamorarsi e del giocare, / e, allora, come dirlo?, quasi un brivido / mi viene nello stare a pensare il mio giocare / e così mi son deciso: un bel carrello / di palla-prigioniera, e un gran saltare / di corda e con la lippa, e, quasi in fondo / la toppa e un tu-ce-l'hai che fa palpare... / E' il mio regalo, è il testamento al mondo... / Dopo tanto parlare, e raccontarvi la storia / dell'angelo che sono stato e vagabondo, / mi rimane solo il tempo di cantare "gloria", / risvegliare l'ombra d'un dio nel vostro piatto / e poi mischiare la mia alla vostra memoria / e farvi ballare fra le stelle, ritornare matti.)

Che iddio ti cerry!

domenica 6 novembre 2011

Escusè un informasion: duv se truv Jim Morrisòn?

Diane Arbus
Dal 18 0ttobre 2011 al 5 febbraio 2012
Jeu de Paume – 1 Place de la Concorde, 8° arr. Paris
Che iddio ti cerry!

venerdì 28 ottobre 2011

Lavorare io?

Col cazzo! 
Risponderebbe la "signora".
(A certe notizie non so resistere) 

Vedova Gucci rinuncia a semilibertà:
"Non ho mai lavorato in vita mia"

La scelta di Patrizia Reggiani: «Preferisco restare in carcere a curare le mie piante»


Patrizia Reggiani in aula nel '98 (Ansa)
Patrizia Reggiani in aula nel '98 (Ansa)
MILANO - Da vera signora, non ha «mai lavorato» in vita sua, e non intende certo cominciare adesso. Neanche per uscire di prigione. Avere un lavoro le permetterebbe di ottenere la semilibertà, ma a lei non interessa: preferisce restare in carcere, a curare le sue piante. E' questa la scelta di Patrizia Reggiani, la «vedova Gucci». È a San Vittore dal gennaio del 1997, con l'accusa di essere stata la mandante dell'omicidio dell'ex marito Maurizio, avvenuto nel marzo del 1995. Condannata a 26 anni, ha già scontato da tempo la metà della pena (tenendo conto dello sconto dell'indulto e della liberazione anticipata), termine che dà la possibilità di richiedere l'accesso alla semilibertà. La donna però non ha mai voluto presentare istanza per chiedere il beneficio che permette di passare parte della giornata fuori dal carcere a lavorare per poi rientrare la notte nel penitenziario.
IL FURETTO E LE PIANTE - Nel corso dei colloqui con i magistrati del Tribunale di Sorveglianza di Milano, Reggiani ha fatto presente di non aver «mai lavorato» e dunque di preferire passare il tempo in carcere, dove ha raggiunto un suo equilibrio e può dedicarsi alla cura delle sue piante. A San Vittore, Patrizia Reggiani ha anche un animaletto a farle compagnia, un furetto. Come ha spiegato il suo legale, l'avvocato Danilo Buongiorno, la sua assistita «ormai da tempo usufruisce dei permessi premio» per andare a trovare la madre, quasi tutte le settimane.


Pare che il furetto abbia dato disponibilità anche a lavorare in un laboratorio tessile di cinesi pur di levarsi dal cazzo la signora, ma di questo i giornali non parlano perchè, come al solito, se non son furetti del quartierino kiss&lincula...

Che iddio ti cerry!

mercoledì 26 ottobre 2011

Sia lodato il videogioco

E' passato parecchio tempo da quando i videogiochi facevano parte della mia vita. Era il tempo in cui quanto facevi a Donkey Kong o a che livello arrivavi di Aztec Tomb poteva darti spolvero nel gruppetto dei pari almeno quanto un gol segnato nella partita del sabato pomeriggio e sicuramente molto di più dall'avere la fidanzatina che anzi, andava celata per non farci la figura della mammoletta. I videogiochi non son più quelli di una volta si potrebbe dire con un pizzico di patetica senilità, ma proprio perchè non sono più quelli di una volta hanno raggiunto un livello di accuratezza a livello di grafica e perfino di plot narrativo che li stanno portando a confrontarsi quasi con i film. Ben venga quindi che si dotino anche di colonne sonore originali con i controcazzi. Non so come sia questo "Rage" del quale intuisco un certo tenore di violenza apocalittica, ma a lui il merito di avermi regalato una nuova canzone di Mark Lanegan...




E adesso mi raccomando Mark, basta con i giochini e fuori il nuovo disco!

Che iddio ti cerry!

Felicità è...

Jason Webley al Ligera

E grazie alla Rossa che ce l'ha portato!

See you soon Jason, with your sister Emily

Che iddio ti cerry!

martedì 18 ottobre 2011

Per quelli che non ci credono

Una aveva due figli emigrati in Australia. Un giorno andò da una maga e comprò una pozione che di notte faceva volare fino all'altra parte della terra. Ogni sera la donna volava lì e faceva visita ai figli; i quali, a proposito, stavano bene.
Il marito, sentendo dei suoi voli notturni, prima scherzava e poi si preoccupava, ma lei, per cercare di rassicurarlo, gli mostrò la roccia dalla quale spiccava il volo per arrivare in Australia.
Questo non bastò al marito, che continuava a sentirsi preso in giro. Per mettere fine a questa storia un giorno, di nascosto alla moglie, sostituì la pozione con un liquido di colore simile. L'indomani, alzandosi, il marito non la trovò nel letto, nè in cucina e nemmeno in tutta la casa. Non era tornata. La ritrovò ai piedi della roccia, con le gambe rotte tutte e due.
Roberto Alajmo

Che iddio ti cerry!

domenica 16 ottobre 2011

Son bei momenti

Quando tua madre (70 anni) chiede "Come stai?"
E tu rispondi "Bene, riesco quasi a toccarmi le punte dei piedi"
"Mi ghe riesi" ("Io ci riesco") dice lei,
e stende le braccia andandosi a toccare le punte dei piedi senza neanche interrompere la conversazione.
La prossima volta rispondo solo "Bene, grazie!"



Che iddio ti cerry!

venerdì 14 ottobre 2011

Quentin col bromuro

LITTLE JOHN - Ehi Jack, te lo ricordi Quentin?
GENTLE JACK - Quentin chi? Saint Quentin? Bei tempi!
L.J. - Ma no Jack, cazzo dici?! Quentin, il nostro Quentin, quello del primo banco
G.J. - Ah! Quella mammoletta?
L.J. - Adesso fa il regista
G.J. - Che peccato, non era male come mammoletta
L.J. - Pare non sia male neanche come regista
G.J. - Sì, e neanche con le patate una sniffata di prezzemolo e un peperone in culo, e allora? Che cazzo vuoi che me ne freghi di "mammoletta" Quentin?
L.J. - Ma no niente, dicevo così per dire
G.J. - Dai spara
L.J. - BANG!
G.J. - Cazzo fai John?
L.J. - Mi hai detto spara...
G.J. - Sì ma non intendevo... Meno male
L.J. - Meno male cosa?
G.J. - Hai centrato una vecchia
L.J. - Oh, merda!
G.J - Tranquillo, a quest'ora dovrebbe passare la pulizia delle strade
L.J. - Scusa, non avevo capito che...
G.J. - Scusa? Che figlio di puttana! E' alla vecchia che dovresti chiedere scusa, non a me
L.J. - Pensi che abbia dei figli?
G.J. - Vuoi ammazzare anche quelli?
L.J. - No, è solo che...
G.J. - Ma vedi di non rompere i coglioni con 'sta vecchia, non volevi parlarmi di "mammoletta"?
L.J. - Sì
G.J. - E allora parla, per dio!
L.J. - Ok! Jack, ok! Anche se non era proprio di Quentin che volevo parlarti
G.J. - Senti John, ma perchè cazzo credi che uno come me sia qui ad ascoltare tutte le cazzate di uno come te?
L.J. - Perchè abbiamo un lavoro da fare insieme, Jack
G.J. - Bingo! Perchè abbiamo un fottuto lavoro da fare insieme! E allora stai zitto oppure parla di chi cazzo vuoi, ma vedi di farlo senza ammazzare nessuno stavolta, va bene?
L.J. - Va bene... [pausa] ...Sono stato al cinema ieri sera
G.J. - Con quella puttanella?
L.J. - E dai Jack, sembra che per te le donne son sempre tutte puttane
G.J. - Tolta la vecchia, tutte!
L.J. - Mary non è come pensi tu, è una bravissima ragazza
G.J. - Una bravissima ragazza non passa il tempo con uno come te
L.J. - Che vuoi dire Jack?
G.J. - Dai, dimmi del cinema se ti va
L.J. - Ho visto un film che spacca veramente il culo. Sembrava quasi un film di Quentin
G.J. - Adesso vuoi farmi credere che i film di "mammoletta" spaccano il culo?
L.J. - Sì Jack, lo so che può sembrarti strano ma ti assicuro che spaccano
G.J. - E quindi si starà facendo anche un sacco di bigliettoni quel figlio di puttana?
L.J. - E' uno dei registi più famosi
G.J. - Della città?
L.J. - No, del mondo!
G.J. - Ma porca la madonna!
L.J. - Non bestemmiare
G.J. - Possibile che "mammoletta" Quentin sia diventato uno dei registi più famosi del mondo e io sia qui con questo deficiente a fare la solita vita di merda? Dio? Dioooooo? Niente... Silenzio... Mai che si prenda le sue responsabilità
L.J. - Dai Jack, non mi hai sempre detto che gli artisti son tutti froci
G.J. - Sì, e allora?
L.J. - Non sarai invidioso di "mammoletta" Quentin?
G.J. - No, imbecille! E' solo che quando sono froci, e famosi, e coi bigliettoni, mi stanno ancora più sui coglioni, va bene?
L.J. - Beh, comunque il film di ieri sera non era di Quentin
G.J. - Ah no?
L.J. - No, però sembrava. Sembrava un film di Quentin ma... come... un Quentin col bromuro
G.J. - Col bromuro?
L.J. - Sì, col bromuro nel motore. Cioè, non so se puoi capirmi se non hai mai visto un film di Quentin, comunque i film, i suoi film, di Quentin, hanno quasi sempre, come dire, i fuochi d'artificio dentro. E' come vedere e sentir sparare quei cazzo di botti per tutto il tempo. A volte vado al cinema solo per starmene un pò tranquillo con la mia piccola e infilarle le mani dappertutto, ma quando c'è un film di Quentin penso solo ai fuochi... anche se poi, alla fine del film, i fuochi glieli accendo io alla mia piccola...
G.J. - Ecco bravo, vedi se ti riesce di accenderlo anche adesso un fuoco e metti su un caffè
L.J. - Si chiama "Drive"
G.J. - Cosa?
L.J. - Il film di ieri sera
G.J. - Ah, ed era un film coi botti o per frecare?
L.J. - All'inizio pensavo fosse per frecare, ho cominciato ad appoggiare la mano sul ginocchio della mia piccola e a salire piano come piace a lei ma poi ho capito
G.J. - Che cazzo hai capito?
L.J. - Ho capito che i botti, i fuochi d'artificio, c'erano anche stavolta
G.J. - Ah sì, e dov'erano?
L.J. - All'inizio non li accendono, stanno lì tranquilli, è come se il regista aspetta che ti metti comodo, come che tutta la sala comincia un pò a pastrugnarsi le piccole, ciascuno la sua, e mentre che tu sei lì che riscaldi il motore, lui i fuochi te li ha già preparati tutti, ma te li ha preparati così bene che non ti sei accorto di niente perchè te li ha preparati nel culo
G.J. - Nel culo?
L.J. - Sì, nel culo! Invece di spararli subito e fartici divertire, calmo calmo te li prepara nel culo e quando decide di accendere la miccia ormai è tardi, ti eri messo comodo e ora non ti resta che scoppiare. Fino alla fine del film
G.J. - Come hai detto che si chiama?
L.J. - Chi? Mary?
G.J. - No, coglione, il film!
L.J. - Ah! Si chiama "Drive"
G.J. - E il regista?
L.J. - Nicolas Winding Refn
G.J. - Che nome del cazzo
L.J. - Sì però me lo sono imparato perchè secondo me è uno forte, quasi come Quentin
G.J. - Beh, vorrà dire che fra "mammoletta" Quentin e Nicolas "scorreggione" Refn dovrò proprio tornare a vedermi qualche film al cinema uno di questi giorni
L.J. - Se vuoi ti presto Mary... 


Che iddio ti cerry!

mercoledì 12 ottobre 2011

Sturiett & Sturiellett. D'amor? Boh

Lui era solo. Lei era sola.
Due soli.
Si dissero: "Sai che cazzo di luce se ci mettiamo insieme!"
Si abbracciarono. Raggianti.


 Lui 
iniziò a spazzar le nuvole con i capelli
Lei 
versò da bere agli angeli
Ubriachi, spazzarono insieme 
fino a spezzarsi
gli angeli
"E io chi sono? Il figlio del prete?"
urlò un diavoletto a gola secca
"Figlio mio!"
si lanciò don Ubaldo
ma un  rutto lo investì
povero don Ubaldo
e come spazzatura fu spazzato
quand'era ancora caldo

Che iddio ti cerry!

Vestendo canzoni

Vesto canzoni
lo faccio da sempre
per ripararmi dal freddo
rinfrescarmi nel caldo
o anche solo per sentirmi più bello quando mi specchio nella vita.
Alcune le ho messe e non le ho tolte mai più.
Erano mutande
ora sono pelle
se restavano mutande,
non oso immaginare...
Altre le metto, le tolgo
spariscono nel guardaroba sonico
poi tornano
(quando meno te le aspetti)
o me le vado a cercare quando non posso uscire dal guscio senza.
Alcune vogliono la notte, altre la velocità, altre l'amore
Da un pò di tempo vesto spesso Frank Turner
Sarà pelle?
Diamogli tempo



Ehi, Frank! 
Se resti mutanda ti tolgo, ok?
O ti metto in testa...
(sensa offesa)

Che iddio ti cerry!

martedì 11 ottobre 2011

Tel chì 'l Giurgin

Dopo i tuffi nei canali veneziani, un'immersione nel Canali Giorgio


E per gli amici giovinotti e giovinotte "indignati" che si preparano alla marcia su Roma, ancora un pò di Canali
(da indignati a incazzati il passo è breve)


Che il numero sia con voi, e magari anche qualche idea, che non guasta
(state buoni, se potete... quelli con cui prendersela sono lontani, a farsi i cazzi loro)

Che iddio ti cerry!

lunedì 10 ottobre 2011

Libertà di culto

Con quanti nomi puoi chiamare Dio?
Puoi chiamarlo in mille maniere:
Dio, Visnù, Budo, Ernsto, Carisma, Giove, Allah...
Tanto non ti risponde
Brunello Robertetti

Che iddio ti cerry!

martedì 4 ottobre 2011

Saggezza popolare

 
Ho smesso di guardare la luna
Guardo il dito
Spero non sia il medio

Che iddio ti cerry!

venerdì 30 settembre 2011

The only eulogy I'll need


Not everyone grows up to be an astronaut,
Not everyone was born to be a king,
Not everyone can be Freddie Mercury,
But everyone can raise a glass and sing,

Well I may not be a perfect kind of person,
And I may not do what mum and dad had dreamed,
But on the day I die I'll say at least I fucking tried,
And that's the only eulogy I'll need,
That's the only eulogy I'll need
Che iddio ti cerry!

domenica 25 settembre 2011

lunedì 19 settembre 2011

Preferisco la balbuzie

Parlare mi costa fatica, e non c'è da stupirsi: durante la guerra non si parlava. Ogni sciagura ribadiva: cosa c'è da dire? E non c'era davvero niente da dire. Chi è stato nel ghetto, nel campo di concentramento e nei boschi ha conosciuto il silenzio sul proprio corpo. In guerra non si discute, non si acuiscono le divergenze di opinione: in guerra si coltivano l'ascolto e la discrezione. La fame di pane, la sete di acqua, la paura della morte rendono superflue le parole. Non ce n'è bisogno. Nel ghetto e nel campo di concentramento solo coloro che impazzivano parlavano, spiegavano e cercavano di convincere. Chi era sano di mente non parlava.
Il mio sospetto nei confronti delle parole è nato allora. Una scorrevole sequenza di parole mi insospettisce. Preferisco la balbuzie, nella quale sento la frizione, l'irrequietezza, lo sforzo di purificare le parole dalle scorie, la volontà di porgerti qualcosa d'interiore. Le frasi levigate, scorrevoli mi danno una sensazione di mancanza di pulizia, di ordine, che nasconde il vuoto.

Non era la voce a parlare, in tempo di guerra, ma il volto e le mani. Dal volto potevi comprendere se l'uomo che ti stava vicino era disposto ad aiutarti, o se stava macchinando contro di te. Le parole non aiutavano a capire: erano i sensi a trasmetterti l'informazione giusta. La fame ci riporta agli istinti, al linguaggio che precede le parole. La mano che ti ha porto un pezzo di pane o una ciotola d'acqua quand'eri ormai in ginocchio per la debolezza, quella mano non la dimenticherai mai più.
La malvagità, come la generosità, non ha bisogno di parole.

Le parole riemersero solo dopo la guerra.

Le parole non hanno la forza di fronteggiare le grandi catastrofi; sono povere, misere e mistificanti. Nemmeno le antiche preghiere hanno la forza di affrontare le disgrazie.
All'inizio degli anni Cinquanta, quando cominciai a scrivere, sulla guerra scorrevano già fiumi di parole.
A volte recintiamo di parole le grandi catastrofi per proteggerci da esse. Le prime parole che uscirono dalla mia penna erano un'invocazione disperata a ritrovare il silenzio che mi aveva circondato durante la guerra, e a restituirmelo. I miei ciechi sensi capivano che in quel silenzio è racchiusa la mia anima, e che se fossi riuscito a farla resuscitare avrei forse ritrovato le parole giuste.
Ho cominciato a scrivere zoppicando.

Durante la guerra ho visto la vita nella sua nudità, senza abbellimenti. Il bene e il male, il bello e il brutto mi si sono rivelati mescolati. Ciò non ha fatto di me, grazie al cielo, un moralista. Anzi, ho imparato a rispettare la debolezza e ad amarla: la debolezza è la nostra essenza e la nostra umanità. L'uomo che conosce la propria debolezza sa a volte superarla. Il moralista ignora le proprie debolezze e invece di indirizzare le proprie pretese verso se stesso, le indirizza verso il prossimo.
Aharon Appelfeld

Che iddio ti cerry!

Chico & Rita


E nonostante la disorganizzazione che affiora un pò ovunque,
per sempre grazie al Milano Film Festival.

Che iddio ti cerry!

domenica 18 settembre 2011

Malinconia dell'attore

Avevi sentito parlare della malinconia dell'attore? Ora sai di cosa si tratta. Cala il sipario e, all'improvviso, tutto quel mondo di parole e di gesti, tutto quel mondo svanisce. Cala il sipario e all'attore non resta niente. (Silenzio) Un attore sta piantando un chiodo. Di colpo, cala il sipario. Allora si rende conto. Allora capisce, di colpo, qualcosa di terribile: capisce che, quando un attore sta piantando un chiodo, sta piantando un chiodo e, al tempo stesso, non sta facendo niente. (Silenzio) Cala il sipario e l'attore si trova con un martello in mano. Non sa cosa fare con quel martello. (Silenzio) Cala il sipario e l'attore torna alla vita. E non sempre la vita è gradevole. Tu lo sai bene come me, non sempre la vita è dolce. Non viviamo nel paradiso, Gerhard. Forse, un giorno. Però ancora no. (Silenzio) Cala il sipario e la vita deve continuare. La vita deve continuare. (Silenzio) "Siamo della stessa materia con cui sono fatti i sogni, e la nostra piccola vita è chiusa in un sogno". La tempesta, atto quarto, scena prima. All'improvviso, l'incantesimo si rompe. L'incantesimo si rompe e tutto torna alla vita, che è peggiore. (Silenzio) Ti immagini se potessimo continuare a recitare in eterno? Non è stato fantastico? Ci sono stati momenti formidabili.
...
La chiamano malinconia dell'attore. Cala il sipario e la vita deve continuare. La vita deve continuare, però, come? Cala il sipario e hai un martello tra le mani. Hai le mani. I piedi, il corpo. Però, che ci fai con tutto questo dopo che è calato il sipario? Gli attori sanno tutto ciò che c'è da sapere della vita, Gerhard. Dietro le parole e i gesti, non c'è niente, questa è l'unica verità. Quando un uomo sta piantando un chiodo, sta piantando un chiodo e, al tempo stesso, non sta facendo nulla. 
Juan Mayorga


Che iddio ti cerry!

mercoledì 31 agosto 2011

Piedi nudi


Che iddio ti cerry!

giovedì 28 luglio 2011

Stratocaster 1 Giovepluvio 0

Rinverdendo i fasti dell'età aurea, al termine di uno sfiancante inseguimento per le impervie strade della provincia di Milano, ho sconfitto l'estivo e minaccioso "Giovepluvio".
Con immane sforzo rabdomantico teso a prevedere le velenose mosse del nemico, splendidamente assistito dalla immarcescibile Stratocaster, abbiamo trovato perfino il modo di stabilire un record di percorrenza destinato a solleticar l'eterno. Una volta disorientato l'avversario con una vestizione in corsa che ha anche alterato le nostre caratteristiche cromatiche oltre a provvedere un miglior coefficiente di penetrazione aerea, a nulla son serviti i goccioloni scagliati dal nemico con l'evidente intento di sfondarmi la pupilla, inutili le pozze iettatorie sistemate strategicamente in alcune delle curve più pericolose, come ai tempi gloriosi della "giostra del ghiaccio" o della "lotteria della ghiaietta", l'umiliante disarciono è stato scongiurato e pure l'abluzione indesiderata.
Giovepluvio ammette la sconfitta e si scaglia con sontuoso contorno di tuoni e lampi a gara ormai terminata.

Con la presente si richiede un salvacondotto a tutti gli organismi fotocellulari beffati lungo il percorso, in considerazione della temerarietà dell'impresa. Pregasi accettare la sconfitta e non rivalersi pecuniariamente sul centauro che sprezzante del pericolo multorio incautamente festeggia!

Che iddio ti cerry!

lunedì 25 luglio 2011

An sè dè Bèrghem (dè sùra)

Tributo alla mia patria d'adozione



...
An sè mpò inzignèr
mpò möradùr
an ga la cràpa
piö düra dèl fer
an böta zò i mùr! 
...
We are the champions
ma dè brö/ö/öt! 
...
Se i òter iè 'ndré
l'è mìa còlpa sò
i pöl mìa es
töi di cèfi
compàin dè noter
töl fò dèl cò!
An sè mìa
di löcia ègie
an sè mìa 'nfamù
se tet cümbinàt vergota
chèl và mìa pròpe bè
an tàl dìss
fò söl müs!
...
An se` de` Bèrghem
dè sùra
al pòst di forchète
an gà i pirù
We are the champions
We are the champions
pòta an fà pùra
We are the champions

Che iddio ti cerry!

venerdì 22 luglio 2011

La scoperta di oggi


Milano salvata in extremis dal criceto Ki-Ki, dalla perniciosa invasione della reclame. 
Il prefetto in nome del popolo pose. MM

Che iddio ti cerry!

Lettere ritrovate

"Cari vecchi, sento un'altra volta sotto i talloni il costato di Ronzinante, mi rimetto in cammino con lo scudo al braccio"

Dall'ultima lettera di Ernesto Che Guevara ai genitori

Che iddio ti cerry!

giovedì 21 luglio 2011

Stratocaster 50 special

30 anni !!!

BUON COMPLEANNO !


Che iddio ti cerry!

lunedì 18 luglio 2011

Badlands

E' il primo film di Malick e il primo pezzo di Darkness. 

Così, per la cronaca, solo per la cronaca.


Honey, I want the heart, I want the soul
I want control right now
...
For the ones who had a notion
A notion deep inside
That it ain't no sin to be glad you're alive

Che iddio ti cerry!

domenica 17 luglio 2011

Dio con la macchina da presa

Ovvero: Ode a Terrence Malick


Ottovolante è una parola che mi è sempre piaciuta. E adesso che è sempre più desueta mi piace ancora di più, quasi quanto mi piaceva andarci e sparare e avere quel pizzico di paura da zittire.
Ma andar sull'ottovolante comodamente seduto al cinema è un'altra storia! E' la storia di stasera. E' la storia del custode della bellezza. E anche di una donna bella come il colore di alcuni cieli, come l'acqua chiara di un torrente in alta montagna, come l'odore della terra quando piove d'estate o come la luce, e il sole sulla pelle, fra le case basse, e in fondo il mare... Bellezza come natura e come vita insomma, la più preziosa, non come attrice. Bellezza come Brahms che quando scorri-bande conquistano il timpano gettando ponti su fossati di ignoranza, lui c'è sempre. Portato a spasso dallo sguardo di un genio, riposato e poi spinto, accarezzato e colpito... e sempre gli basta un attimo, una inquadratura, da 0 a 100 in meno di un secondo e da 100 a 0 quando vuole lui, e a chi non gli sta bene, a casa! Prima che arrivino i girasoli... Purezza del cinema, visione che sfida il racconto e lo vince, senza pietà, facendolo prigioniero. I bambini, i salti, i giochi, l'acqua, il viso di Sean Penn e tu che sei venuta dall'America fino a Lisbona per dirmi "Sarai un papà meraviglioso" e io che ancora ci credo...


Che iddio ti cerry!

giovedì 14 luglio 2011

Nile's Summer

"L'è minga semper festa" si dice dalle mie parti per ricordare, e ammonire, che la vita sa essere anche dura, non può essere festa tutti i giorni. Saggezza popolare e infatti, per esempio, quest'estate non c'è in giro il Boss in tour. No Boss, no party? Ma va là che con un pò di buona volontà l'è semper festa! Quest'estate, con tutto il rispetto per le meraviglie vissute fin qui (vero Bobo?) e quelle ancora da vivere, da ieri sera è la Willie Nile's Summer!

...stand up in the sun
everybody sing for the innocent ones...

Thank you very much Willie and see you soon, I hope, maybe in Treviglio...



E anche se non è tempo di Boss live e la caldazza mi asciuga perchè farsi mancare un pò di Bruce a petto nudo e senza una ruga? E allora... Save my love 



Che iddio ti cerry!

venerdì 8 luglio 2011

Lobotomia globale

Poche persone hanno notato il post apparso sul blog ufficiale di Google il 4 dicembre 2009. Non cercava di attirare l’attenzione, ma non è sfuggito a tutti. Il blogger Danny Sullivan analizza sempre con cura i post di Google per cercare di capire quali sono i prossimi progetti dell’azienda californiana, e lo ha trovato molto interessante. Più tardi, quel giorno, ha scritto che si trattava del “più grande cambiamento mai avvenuto nei motori di ricerca”. Bastava il titolo per capirlo: “Ricerche personalizzate per tutti”.
Di solito si pensa che facendo una ricerca su Google tutti ottengano gli stessi risultati ma dal dicembre 2009 non è più così. Oggi vediamo i risultati che sono più adatti a noi, mentre altre persone vedono cose completamente diverse. In poche parole, Google non è più uguale per tutti.
Potremmo dire che il 4 dicembre 2009 è cominciata l’era della personalizzazione.

Dimmi cosa voglio
Il mondo digitale sta cambiando, discretamente e senza fare troppo chiasso. Quello che un tempo era un mezzo anonimo in cui tutti potevano essere chiunque – in cui nessuno sa che sei un cane, come diceva una famosa vignetta del New Yorker – ora è un modo per raccogliere e analizzare i nostri dati personali. Se cerchiamo una parola come “depressione” su un dizionario online, il sito installa nel nostro computer fino a 223 cookie e beacon che permettono ad altri siti di inviarci pubblicità di antidepressivi. Se facciamo una ricerca sulla possibilità che nostra moglie ci tradisca, saremo tempestati di annunci sui test del dna per accertare la paternità dei figli. Oggi la rete non solo sa che sei un cane, ma anche di che razza sei, e vuole venderti una ciotola di cibo.
La gara per sapere il più possibile su di noi è ormai al centro della battaglia del secolo tra colossi come Google, Facebook, Apple e Microsoft. Come mi ha spiegato Chris Palmer dell’Electronic frontier foundation, "il servizio sembra gratuito, ma lo paghiamo con le informazioni su di noi".
Anche se (finora) Google ha promesso di non divulgare i nostri dati personali, altri siti e applicazioni molto popolari non garantiscono nulla del genere. Dietro le pagine che visitiamo, si annida un enorme mercato di informazioni su quello che facciamo online. Lo controllano società per la raccolta dei dati poco conosciute ma molto redditizie, come BlueKai e Acxiom. Secondo i piazzisti del “mercato dei comportamenti”, ogni clic è una merce e ogni movimento del nostro mouse può essere venduto, in pochi microsecondi, al miglior offerente.
Se fosse solo un modo per vendere pubblicità mirata, non sarebbe tanto grave. Ma la personalizzazione non condiziona solo quello che compriamo. Per una percentuale sempre maggiore di utenti, i siti di notizie personalizzate come Face­book stanno diventando fonti di informazione fondamentali: il 36 per cento degli americani sotto i trent’anni legge le notizie sui social network. Come dice il suo fondatore, Mark Zuckerberg, Facebook è forse la più grande fonte di notizie del mondo (almeno per quanto riguarda una certa idea di “notizie”). Ma la personalizzazione non sta condizionando il flusso delle informazioni solo su Facebook: ormai servizi come Yahoo News e News.me, lanciato dal New York Times, adattano i titoli ai nostri particolari interessi e desideri.
La personalizzazione interviene anche nella scelta dei video che guardiamo su YouTube e sui blog. Influisce sulle email che riceviamo, sui potenziali partner che incontriamo su OkCupid, e sui ristoranti che ci consiglia Yelp: la personalizzazione può stabilire non solo con chi usciamo, ma anche dove andiamo e di cosa parleremo. Gli algoritmi che gestiscono le pubblicità mirate stanno cominciando a gestire la nostra vita. Come ha spiegato Eric Schmidt, “sarà molto difficile guardare o comprare qualcosa che in un certo senso non sia stato creato su misura per noi”.
Il codice della nuova rete è piuttosto semplice. I filtri di nuova generazione guardano le cose che ci piacciono – basandosi su quello che abbiamo fatto o che piace alle persone simili a noi – e poi estrapolano le informazioni. Sono in grado di fare previsioni, di creare e raffinare continuamente una teoria su chi siamo, cosa faremo e cosa vorremo. Insieme, filtrano un universo di informazioni specifico per ciascuno di noi, una “bolla dei filtri”, che altera il modo in cui entriamo in contatto con le idee e le informazioni. In un modo o nell’altro tutti abbiamo sempre scelto cose che ci interessano e ignorato quasi tutto il resto. Ma la bolla dei filtri introduce tre nuove dinamiche.
Prima di tutto, al suo interno siamo soli. Un canale via cavo dedicato a chi ha un interesse specifico (per esempio il golf), ha altri telespettatori che hanno qualcosa in comune tra loro. Nella bolla invece siamo soli. In un’epoca in cui le informazioni condivise sono alla base di esperienze condivise, la bolla dei filtri è una forza centrifuga che ci divide. In secondo luogo, la bolla è invisibile. La maggior parte delle persone che consultano fonti di notizie di destra o di sinistra sa che quelle informazioni si rivolgono a chi ha un particolare orientamento politico. Ma Google non è così trasparente. Non ci dice chi pensa che siamo o perché ci mostra i risultati che vediamo. In realtà, dall’interno della bolla è quasi impossibile accorgersi di quanto quelle informazioni siano mirate. Non decidiamo noi quello che ci arriva. E, soprattutto, non vediamo quello che esce.
Infine, non scegliamo noi di entrare nella bolla. Quando guardiamo Fox News o leggiamo The New Statesman, abbiamo già deciso che filtro usare per interpretare il mondo. È un processo attivo, e come se inforcassimo volontariamente un paio di lenti colorate, sappiamo benissimo che le opinioni dei giornalisti condizionano la nostra percezione del mondo. Ma nel caso dei filtri personalizzati non facciamo lo stesso tipo di scelta. Sono loro a venire da noi, e dato che si arricchiscono, sarà sempre più difficile sfuggirgli.

La fine dello spazio pubblico
La personalizzazione si basa su un accordo economico. In cambio del servizio che offrono i filtri, regaliamo alle grandi aziende un’enorme quantità di dati sulla nostra vita privata. E queste aziende diventano ogni giorno più brave a usarli per prendere decisioni. Ma non abbiamo nessuna garanzia che li trattino con cura, e quando sulla base di questi dati vengono prese decisioni che influiscono negativamente su di noi, di solito nessuno ce lo dice. La bolla dei filtri può influire sulla nostra capacità di scegliere come vogliamo vivere. Secondo Yochai Benkler, professore di legge ad Harvard e studioso della nuova economia della rete, per essere artefici della nostra vita dobbiamo essere consapevoli di una serie di modi di vivere alternativi.
Quando entriamo in una bolla dei filtri, permettiamo alle aziende che la costruiscono di scegliere quali alternative possiamo prendere in considerazione. Ci illudiamo di essere padroni del nostro destino, ma la personalizzazione può produrre una sorta di determinismo dell’informazione, in cui quello che abbiamo cliccato in passato determina quello che vedremo in futuro, una storia destinata a ripetersi all’infinito.
Abbiamo sempre più “spirito di gruppo” ma pochissimo “senso della comunità”. E questo è importante perché dal senso della comunità nasce la nostra idea di uno “spazio pubblico” in cui cerchiamo di risolvere i problemi che vanno oltre i nostri interessi personali. Di solito tendiamo a reagire a una gamma di stimoli molto limitata: leggiamo per prima una notizia che riguarda il sesso, il potere, la violenza, una persona famosa, oppure che ci fa ridere. Questo è il tipo di contenuti che entra più facilmente nella bolla dei filtri. È facile cliccare su “mi piace” e aumentare la visibilità del post di un amico che ha partecipato a una maratona o di una ricetta della zuppa di cipolle.
È molto più difficile cliccare “mi piace” su un articolo intitolato “In Darfur è stato il mese più sanguinoso degli ultimi due anni”. In un mondo personalizzato, ci sono poche probabilità che questioni importanti, ma complesse o sgradevoli, arrivino alla nostra attenzione. Tutto questo non è particolarmente preoccupante se le informazioni che entrano ed escono nel nostro universo personale riguardano solo prodotti di consumo. Ma quando la personalizzazione riguarda anche i nostri pensieri, oltre che i nostri acquisti, nascono altri problemi. La democrazia dipende dalla capacità dei cittadini di confrontarsi con punti di vista diversi. Quando ci offre solo informazioni che riflettono le nostre opinioni, internet limita questo confronto. Anche se a volte ci fa comodo vedere quello che vogliamo, in altri momenti è importante che non sia così.
Come i vecchi guardiani delle porte della città, i tecnici che scrivono i nuovi codici hanno l’enorme potere di determinare quello che sappiamo del mondo. Ma diversamente da quei guardiani, quelli di oggi non si sentono i difensori del bene pubblico. Non esiste l’algoritmo dell’etica giornalistica. Una volta Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, ha detto ai suoi colleghi che per un utente “uno scoiattolo che muore nel suo giardino può essere più rilevante di tutte le persone che muoiono in Africa”. Su Facebook la “rilevanza” è praticamente l’unico criterio che determina quello che vedono gli utenti. Concentrarsi sulle notizie più rilevanti sul piano personale, come lo scoiattolo che muore, è una grande strategia di mercato. Ma ci lascia vedere solo il nostro giardino e non le persone che altrove soffrono, muoiono o lottano per la libertà.
Non è possibile tornare al vecchio sistema dei guardiani, e non sarebbe neanche giusto. Ma se adesso sono gli algoritmi a prendere le decisioni e a stabilire quello che vediamo, dobbiamo essere sicuri che le variabili di cui tengono conto vadano oltre la stretta “rilevanza” personale. Devono farci vedere l’Afghanistan e la Libia, non solo Apple e il nostro cantante preferito. Come consumatori, non è difficile stabilire quello che per noi è irrilevante o poco interessante. Ma quello che va bene per un consumatore non va bene necessariamente anche per un cittadino. Non è detto che quello che apparentemente mi piace sia quello che voglio veramente, e tantomeno che sia quello che devo sapere per essere un cittadino informato di una comunità o di un paese. “È nostro dovere di cittadini essere informati anche su cose che sembrano essere al di fuori dei nostri interessi”, mi ha detto l’esperto di tecnologia Clive Thomp­son. Il critico Lee Siegel la mette in un altro modo: “I clienti hanno sempre ragione, le persone no”.

Lobotomia globale
L’era della personalizzazione sta ribaltando tutte le nostre previsioni su internet. I creatori della rete avevano immaginato qualcosa di più grande e di più importante di un sistema globale per condividere le foto del nostro gatto. Il manifesto dell’Electronic frontier foundation all’inizio degli anni novanta parlava di una “civiltà della mente nel ciberspazio”, una sorta di metacervello globale. Ma i filtri personalizzati troncano le sinapsi di quel cervello. Senza saperlo, ci stiamo facendo una lobotomia globale.
I primi entusiasti di internet, come il creatore del web Tim Berners-Lee, speravano che la rete sarebbe stata una nuova piattaforma da cui affrontare insieme i problemi del mondo. Io penso che possa ancora esserlo, ma prima dobbiamo guardare dietro le quinte, capire quali forze stanno spingendo nella direzione attuale. Dobbiamo smascherare il codice e i suoi creatori, quelli che ci hanno dato la personalizzazione.
Se “il codice è legge”, come ha dichiarato il fondatore di Creative commons Larry Lessig, è importante capire quello che stanno cercando di fare i nuovi legislatori. Dobbiamo sapere in cosa credono i programmatori di Google e Face­book. Dobbiamo capire quali forze economiche e sociali sono dietro alla personalizzazione, che in parte sono inevitabili e in parte no. E dobbiamo capire cosa significa tutto questo per la politica, la cultura e il nostro futuro. Le aziende che usano gli algoritmi devono assumersi questa responsabilità. Devono lasciarci il controllo di quello che vediamo, dicendoci chiaramente quando stanno personalizzando e permettendoci di modificare i nostri filtri. Ma anche noi cittadini dobbiamo fare la nostra parte, imparare a “conoscere i filtri” per usarli bene e chiedere contenuti che allarghino i nostri orizzonti anche quando sono sgradevoli. È nel nostro interesse collettivo assicurarci che internet esprima tutto il suo potenziale di mezzo di connessione rivoluzionario. Ma non potrà farlo se resteremo chiusi nel nostro mondo online personalizzato.
Eli Pariser

Che iddio ti cerry!

martedì 5 luglio 2011

A freddo (mentre il caldo impazza!)

Ho già sbrodolato abbastanza sulla vittoria di Pisapia a Milano ma mi permetto di tornare ancora sull'argomento perchè camminando per le strade della mia città nei giorni scorsi mi è capitato di rivedere un manifesto che è sopravvissuto ai tempi della campagna elettorale. Era ancora lì, chissà, dimenticato fra l'ansia di promuovere sempre nuovi prodotti nuove iniziative nuove balle... e mi piace pensare che un "attacchino" anarchico lo abbia risparmiato volontariamente, come piccolo insubordinato atto di cura e bellezza. E' un manifesto che risale ai giorni in cui su Pisapia e su tutti quelli che da lui si sentivano rappresentati piovevano addosso le ignoranti e volgari accuse dell'intellighenzia padana e ciellina dei berluscones : si vuole trasformare Milano in una zingaropoli! (grande e consueto spessore "politico")
Per una volta si decise di rispondere non con qualche rissa televisiva o slogan o campagna ideata da qualche creativo stipendiato, ma con la poesia, quella desueta, dimenticata e pure, orrore!, comunista, di Bertold Brecht:

PRIMA VENNERO PER GLI ZINGARI...

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.

Bertold Brecht

La poesia vince!

Che iddio ti cerry!

mercoledì 29 giugno 2011

Tra Berardo Viola e Miracolo a Milano

- Tua zia è a letto, ora? - s'informò Giuseppe Boscone con voce impastata di risentimento.
- Sì, è a letto, - disse, candida, Ninetta.
- Allora puoi andare a dirle che chi tradisce non riposa, dille che questi sono peccati che si scontano.
Ninetta restò a guardare, turbata, i due uomini che, allontanandosi, scansavano ostacoli di marmocchi. Ce n'erano tanti e di età varia; la maggior parte scalzi, vestiti di stracci e con tra il naso e la bocca croste verdognole di muco. Correvano appresso a una palla floscia urlando, cadendo e rialzandosi, sciamando in gruppi. Alcuni avevano lasciato i libri di scuola sui davanzali delle finestre basse. Una scalinata collegava la piazzetta con un cortile disabitato, e su quella scalinata c'era un saliscendi continuo di gambette magre.
- Che fastidio, questi mocciosi, - sbuffò Vincenzo Stura traendosi dal nugolo assordante.
Giuseppe Boscone si voltò un attimo a guardarli.
- Li facciamo per incularli, - disse con voce tranquilla. Lo strepito si udì più forte. Vincenzo Stura aggrottò le sopracciglia e accentuò il suo tic all'angolo della bocca.
- Questi dànno il sangue per noi, - aggiunse il Presidente.
Intere famiglie - Giuseppe Boscone lo sapeva bene, come, del resto, Vincenzo Stura - sopravvivevano col lavoro dei bambini. E i bambini bastonati, usati, sopportavano tutto, bastava dar loro ogni tanto una palla di pezza. Gli adulti non li amavano, anche se affermavano il contrario e in ogni casa c'era un'immagine della Madonna con il suo Bambino in braccio. La sera bastava loro un pezzo di pane con l'odore di qualcosa per riempirsi lo stomaco. E in tre, in quattro in un unico letto, si addormentavano senza capricci. Per strada erano sempre allegri, cantavano e saltellavano anche quando trasportavano vassoi carichi di bicchieri e tazzine, ceste di pane o ferrivecchi. E, a furia di sentirselo dire, finivano col convincersi che le loro madri e sorelle erano puttane.
Di sera, tornando a casa, l'esercito sempre allegro animava i vicoli e il buio nascondeva i lividi.
- Meno male che ci sono loro, - borbottò Giuseppe Boscone. - Altrimenti ci sbraneremmo tra di noi come cani.
Un'altra piazzetta davanti ai due amici vomitò l'allegria di altri mocciosi. Tutt'intorno era un vociare ininterrotto.
Matteo Collura

Che iddio ti cerry!

martedì 28 giugno 2011

Where the wild things are

Alzi la mano chi non ha mai giocato a tirare le zolle...
Alzi la mano chi non ha mai mangiato la terra...
Alzi la mano chi non è mai stato il re...
Alzi la mano chi non ha mai liberato la sua donna dalle grinfie dei cattivi...

Era il tempo prima di cominciare ad andare a scuola, certo.
Era il tempo delle cose selvagge.

Adesso ho giusto il tempo di ringraziare 
Dave Eggers, Spike Jonze e Maurice Sendak 
perchè poi devo andare a giocare a tirare le zolle... chi viene? 
Devo liberare la mia donna dalle grinfie dei cattivi...

Vamo' a portarnos mal


Che iddio ti cerry!

domenica 26 giugno 2011

In trincea!


...i partigiani della crescita economica non si limitano a ignorare le arti. Essi le temono. Infatti, la sensibilità simpatetica coltivata e sviluppata è un nemico particolarmente pericoloso dell'ottusità, e l'ottusità morale è necessaria per realizzare programmi di sviluppo economico che ignorano le disuguaglianze. E' più facile trattare le persone come oggetti da manipolare se non ci è mai stato insegnato a considerarle sotto un altro punto di vista. Come disse Tagore, il nazionalismo aggressivo ha bisogno di annebbiare la coscienza morale, quindi ha bisogno di persone che non apprezzano l'individualità, che ripetono gli slogan del gruppo, che si comportano, e che vedono il mondo, come docili burocrati. Le arti sono un grande nemico dell'ottusità, e gli artisti (a meno che non siano del tutto sottomessi o corrotti) non sono i servi fidati di alcuna ideologia, neppure di una fondamentalmente buona: essi chiedono, sempre, all'immaginazione di superare i confini, di vedere le cose in modo nuovo. Di conseguenza, coloro che formano i quadri necessari per lo sviluppo economico si scaglieranno sempre contro l'inclusione delle materie letterarie e artistiche fra gli ingredienti dell'istruzione di base. Questa offensiva è oggi in pieno svolgimento in tutto il mondo.
Martha C. Nussbaum

Tranquilla Martha, gli spacchiamo il culo a "coloro che formano i quadri necessari per lo sviluppo economico"!

Che iddio ti cerry!

venerdì 24 giugno 2011

Premio Oscar

Chi scorge una differenza tra spirito e corpo, non possiede né l'uno né l'altro.

Oscar Wilde

Che iddio ti cerry!

domenica 19 giugno 2011

The Big Man you've ever seen


Qualcuno un giorno mi chiese cos'è per me la bellezza... un sax solo...


Che iddio ti cerry!

martedì 14 giugno 2011

Lamento dell'inedito

Bene! Benissimo! Perfino un referendum avete scomodato, e l'avete vinto, o meglio, l'abbiamo vinto, perchè anch'io ho votato "sì". Non sono certo un invidioso per natura e non sarà la fortuna di una collega a farmi cambiare. L'acqua pubblica... l'acqua non pubblica... Ha vinto l'acqua pubblica? Benissimo! Viva l'acqua pubblica, ma mi sia concessa almeno qualche pacata considerazione, per dio! Vengo subito al dunque: se ora perfino l'acqua, così incolore, insapore, inodore, e quindi, mi sia concesso, per dio, vagamente sciatta, se perfino l'acqua, dicevo, pubblica, perchè io ancora non pubblico?

Che iddio ti cerry!

domenica 12 giugno 2011

Ledgerissimo 2

E' stupido sentire la mancanza di qualcuno che non hai mai conosciuto?
E' patetico, adolescenziale, idiota, vergognoso, irrispettoso, stupido... ?
Sono tutto questo in questo momento, mi manchi Heath


E' morto l'attore sbagliato

Che iddio ti cerry!

giovedì 9 giugno 2011

Pazzesco!

Di una canzone che amo da sempre non avevo ancora mai visto il video: bellissimo!
Sarà che mi piace così tanto il pezzo che anche un monocromo nero mi sarebbe andato bene? Sticazzi...
Ecco il risarcimento per tutti questi anni di fottuta ignoranza visiva


Che iddio ti cerry!

domenica 5 giugno 2011

Nel segno della continuità


  Alla festa per il matrimonio della figlia di uno dei boss più in vista della provincia agrigentina l’ospite d’onore si fa largo tra gli altri invitati per abbracciare e baciare il padre della sposa. È un giovane avvocato venticinquenne, astro nascente della politica siciliana. Si chiama Angelino Alfano e diventerà in pochi anni ministro della Giustizia. Ma oggi che Berlusconi lo vorrebbe incoronare suo vice nessuno lo ricorda.


«Il padre di Angelino Alfano mi ha chiesto voti per il figlio». A parlare, Giovanni Alongi, boss della famiglia mafiosa di Aragona. Almeno secondo il racconto di Ignazio Gagliardo, un pentito di mafia di Agrigento. Il 12 marzo 2009 i pm di Palermo lo interrogano nell’ambito della nuova inchiesta per mafia sull’ex governatore siciliano Tòtò Cuffaro, oggi in carcere per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Il pentito racconta, e fa i nomi. Anche nomi eccellenti che i pm non si aspettavano di dovere ascoltare. Parla anche del Ministro della Giustizia in carica, che oggi Berlusconi vorrebbe promuovere segretario del suo partito.

In carcere era un giorno qualunque, uguale a tutti gli altri. I boss, nelle loro celle, giravano i canali del televisore, finché vennero tutti sopresi dalle stesse immagini. E soprattutto dalle stesse parole. Davanti ai loro occhi il nuovo Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, parlava di mafia e antimafia con i suoi soliti ritornelli retorici che chiunque lo abbia sentito parlare almeno una volta conosce a memoria: “Un tempo bisognava dire di essere antimafiosi, oggi bisogna esserlo con i fatti”, “Giovanni Falcone è l’eroe e l’esempio cui ci dobbiamo ispirare” perché la mafia, com’è noto, “fa schifo”. I boss, abituati dal governo Prodi a un ministro della Giustizia che con i mafiosi prima fa il testimone di nozze e poi tratta, come dimostrano le intercettazioni pubblicate da AgoraVox, tramite i suoi collaboratori al Ministero, non ci stanno. E quando s’incontrano per l’ora d’aria, esprimono tutto il loro risentimento per la presa di distanza del nuovo Ministro. «È un pezzo di merda», dicono. «Ora facciamo schifo ma non lo facevamo prima, quando ci chiedevano voti». Finché a sua difesa non interviene Alongi. «A questo putno – racconta Gagliardo – Giovanni Alongi, rappresentante della famiglia di Aragona, disse: “Il padre di Angelino mi ha chiesto voti per Angelino. Anche il padre di Alfano era un politico”». 

Queste dichiarazioni non sono mai state riscontrate in un processo, e al momento Alfano non risulta nemmeno indagato. Ma questo racconto nelle innumerevoli biografie giornalistiche del nuovo “delfino” berlusconiano che i quotidiani stanno pubblicando in questi giorni è del tutto scomparso. Meglio ripiegare su più accomodanti agiografie come quelle stilate dal Giornale (“Angelino, il primo della classe che ha bruciato tutte le tappe”) o dal quotidiano indipendente La Stampa: “Sposo ideale, figlio ideale, genero ideale, e poi deputato ideale, alleato ideale, avversario ideale fino a ministro e segretario ideale. C’è qualcuno a cui non piaccia Angelino Alfano?” E giù una lenzuolata di motivi per cui Alfano “piace” (perché ha “il piglio”, perché ha fascino, “perché non esibisce il vizio e di conseguenza non è tenuto a esibire la virtù”, perché “si mantiene in forma”, perché piace e basta). Poi, a sorpresa, l’agiografo morde: “Se poi qualcuno insinua, ché la mano sbagliata capita sempre di stringerla, si addolora virilmente”. Di quali mani si stia parlando ai lettori della Stampa non è dato sapere, così come a tutti gli altri lettori di giornali. 

Eppure una mano sbagliata, di quelle da cui a tutti i costi bisognerebbe stare lontani, Alfano l’ha stretta. È la mano del capomafia di Palma di Montechiaro, Croce Napoli, morto ormai da dieci anni. O meglio, la guancia. Perché il boss Alfano l’ha anche baciato. E stavolta non c’entra il racconto de relato di un mafioso in carcere: a inchiodare il ministro c’è un filmato. 

Era l’estate del 1996, l’anno in cui il neo-delfino del Cavaliere ottenne quasi novemila voti alle regionali, risultando il primo dei non eletti. Si sposava la figlia del boss e Alfano era l’ospite d’onore. In una videocassetta del matrimonio lo si vede baciare il padre della sposa. Dopo il taglio della torta, Alfano si fa avanti con in mano il suo regalo di nozze, tra i saluti ossequiosi dei presenti, verso gli sposi. Prima bacia loro, poi abbraccia e bacia il capomafia padre della sposa. Tutto filmato e documentato. Interpellato sui fatti, Alfano prima negò tutto, dicendo di non ricordare e minacciando i giornalisti («attenti a pubblicare notizie del genere»). Poi, dopo ventiquattro ore, uscita la notizia, recuperò la memoria: «Adesso ricordo, (…) ricordo di esserci stato, ma su invito dello sposo e non della sposa». Racconta che non conosceva la sposa e «men che meno suo padre» della cui identità «non conoscevo nemmeno l’esistenza». Dunque «non ho nulla di cui giustificarmi», e via con il solito copione del ragazzo antimafioso «dai tempi del liceo».

Certo, il racconto di un pentito non dimostra affatto una collusione mafiosa tra Alfano e Cosa nostra, né tantomeno un bacio dato a un boss forse per caso. Ma dell’opportunità di ricoprire le cariche di Ministro della Giustizia e a breve di segretario del primo partito del Paese (se Berlusconi riuscirà ad aggirarne i regolamenti) alla luce di queste storie occorrerebbe quantomeno discutere. Ma per poterne discutere, prima, bisognerebbe raccontare i fatti.

Che iddio ti cerry!