mercoledì 3 febbraio 2010

Quel gran pezzo dell'Ubaldo


Una sera, lo scorso settembre, telefona mio fratello da San Elmo per informarmi che mamma e papà avevano tirato in ballo un'altra volta la faccenda del divorzio.
"Bè, che c'è di nuovo?"
"Stavolta fanno sul serio" disse Mario.
Nicholas e Maria Molise erano sposati da cinquantun anni. Fin dall'inizio il loro era stato un rapporto agitato, tenuto insieme dall'indefettibile fede cattolica di mia madre che soleva punire il marito per il tramite di una esasperante tolleranza dell'egoismo e del menefreghismo di lui; pure, lasciarsi così avanti negli anni aveva ormai l'aria di una suprema follia da parte di quei due vecchietti (mia madre ne aveva settantaquattro e mio padre due di più).
Chiesi a Mario quale fosse stavolta il problema.
"Adulterio. L'ha beccato con le mani nel sacco."
Risi. "Il vecchio? Andiamo, come può essere colpevole di adulterio?"
Effettivamente, si trattava della seconda accusa di questo tipo dopo tanti anni, la prima avendo avuto a che fare con le avance di mio padre nei confronti di Adele Horner, un'impiegata postale cinquantenne un pò zoppa - "una piccola strega storpia", per dirla con mia madre. Ma era una storia vecchia di anni, e papà non era più quello di una volta. Il giorno del suo compleanno, il primo aprile, l'avevo visto contorcersi sul pavimento: gemeva e batteva i pugni sullo scendiletto lottando contro un attacco di prostata.
"Via, Mario" lo rimproverai "stai parlando di un vecchio ormai consumato."
Mi rispose che mamma aveva trovato del rossetto sulla biancheria di papà, e nel momento in cui l'aveva chiamato a render conto di quella prova (mi pareva di vederla mentre gliela sbatteva sotto il naso), lui l'aveva presa per il collo come per strangolarla, l'aveva piegata sul tavolo di cucina e l'aveva presa a calci sulle chiappe. Era scalzo, d'accordo, ma sui fianchi di mamma era rimasto un livido violaceo e sulla gola le si vedevano certi segnacci rossi.
Vergognandosi di quell'aggressione infingarda nei confronti della moglie, papà se l'era filata di casa giusto nel momento in cui Mario aveva fatto il suo ingresso dalla porta posteriore. La vista di mamma contusa lo aveva reso talmente furioso che era schizzato fuori, era montato sul furgone ed era piombato alla stazione di polizia, dove aveva sporto denuncia contro suo padre, Nicholas Joseph Molise, accusandolo di aggressione e percosse.
Regan, il capo della polizia di San Elmo, aveva cercato di dissuadere Mario dall'avviare un'azione così drastica; era un vecchio compagno di bevute di mio padre, e come lui era socio dell'Elks Club. Ma Mario aveva sbattuto i pugni sulla scrivania senza deflettere, obbligandolo ad adempiere il proprio dovere. Accompagnato da un agente, Regan si era dunque recato a casa Molise in Pleasant street.
Sotto gli occhi disgustati di Mario, il mio vecchio si era rifiutato di sottomettersi all'arresto e s'era barricato in veranda, armato di un badile. Rapidamente si era raccolta una folla di vicini, e mio padre e il capo della polizia si erano infilati in casa, sedendo al tavolo di cucina a bere vino e a discutere la situazione, mentre dalla camera da letto venivano i pianti penosi di mamma.
Intanto, la folla raccolta davanti alla residenza dei Molise aveva ormai invaso la strada e altre due auto della polizia erano state incaricate di formare una barriera intorno all'intero isolato. D'un tratto il cameratismo esistente tra papà e il capo della polizia aveva avuto termine. Il capo aveva estratto le manette e rivelato la propria ostilità. Gli agenti si erano precipitati all'interno nel momento in cui Regan aveva lanciato un grido d'aiuto, e mio padre era stato steso sul pavimento e ammanettato. Ansimante, era stato trascinato fuori fino alla macchina della polizia.
La vista del suo sposo in ceppi aveva provocato i gemiti angosciosi di mia madre. Si era slanciata contro i poliziotti, agitandosi e graffiandoli con una tale frenesia che alla fine era svenuta sul marciapiede, da dove i vicini, la signora Credenza e la signora Petropoulos, l'avevano trascinata per le braccia dentro casa.
Mio fratello Mario, nuovamente preda della sua cieca paura del padre, era frattanto riapparso da dietro i bidoni della spazzatura sul vialetto, e si era precipitato al fianco di mamma, che giaceva sul divano, per consolarla e tenerle la mano.
Tremante d'un desiderio di perdono, mamma s'era alzata vacillando, e aveva barcollato per la stanza crollando infine in ginocchio davanti alla statua di santa Teresa, e aveva implorato il Piccolo Fiore di non punire quel suo sposo testardo, di essere ancora una volta misericordiosa nei confronti delle sue trasgressioni, e d'impetrare davanti al tribunale di Dio onnipotente l'immortalità per l'anima sua.

John

Che iddio ti cerry!

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