A distanza di parecchi anni devo dire che sono successe parecchie cose… Non mi sono ancora laureato (chissà, finchè c’è vita…), ho smesso di lavorare per le telecomunicazioni, ma continuo a lavorare (non so se mi si possa proprio definire parte del corpo produttivo nazionale), e soprattutto ancora non sono andato in Sud America, nemmeno a fare il turista.
Per tutti questi anni ho continuato a studiare e lavorare. Lavoro ormai per e fra i bambini: faccio teatro con loro, non matematica, e alcuni di loro, mettendomi un poco in imbarazzo, mi chiamano “maestro”, ma in America Latina non ci sono ancora andato. Per eccesso di presunzione, o di senso di responsabilità, ho preferito attendere di sentirmi in grado di portare un contributo che non fosse solo fatto di buona volontà, ma anche di conoscenza e di concreta capacità di agire al servizio della gente che si va a incontrare, senza farne oggetto di affermazione del proprio ego e della propria cultura. Niente contro la buona volontà dei molti che partono senza troppi “se” e troppi “ma”, è solo che credo vada rispettata la propria indole (e quindi io provo a rispettare la mia) soprattutto se si vogliono fare scelte consapevoli e non dettate dalla semplicistica volontà di “rendersi utili” (massimo rispetto per chi va a dare una mano comunque e ovunque ce ne sia bisogno, soprattutto se sa farlo con l’umiltà di chi si mette a disposizione per tirare in piedi il muro di una scuola o di un ospedale o per scavare un pozzo, piuttosto che pretendere di insegnare, con analisi sociologiche/economiche... alla mano, cosa è meglio fare per stare al mondo in modo “civile”, a chi ha tutte le risorse per deciderlo autonomamente).
Ora, a distanza di anni, quando quasi mi sentivo finalmente, e presuntuosamente, pronto a partire, succede una cosa strana, che il “mio” Sud America, forse stanco di aspettarmi, è venuto lui da me.
E non mi riferisco tanto al fatto che lavorando nella scuola italiana di questi anni ho imparato, con gioia, ad avere a che fare con bambini che provengono da ogni parte del mondo (e quindi anche dall’America Latina), ma mi riferisco al fatto che “quel” Sud America in cui io desideravo tanto andare a portare il mio contributo di lavoro e di “lotta”, siamo ormai diventati noi.
Il Sud America non è più quello dei Videla, dei Pinochet, dei Noriega etc… con cui sono cresciuto, ma è diventato quello di Ugo Chavez, Evo Morales, Luiz Inácio “Lula” da Silva, Rafael Correa…

Proprio ieri ho avuto la possibilità di vedere uno splendido film documentario dal titolo “Eyes Wide Open” del regista uruguayano Gonzalo Arijon. L’ho visto all’interno del Festival del Cinema Africano di Milano (che da anni ormai si apre anche ad Asia e Sud America) e purtroppo non credo ci saranno molte altre possibilità di vederlo dal momento che sperarne una distribuzione cinematografica mi pare utopistico così come auspicarne una messa in onda televisiva pare assurdo (considerata la “qualità” con cui è abituata a infarcire i palinsesti la nostra TV non ci resta che lasciare spazio a De Filippi & C., che a trasmettere qualcosa di intelligente e ben fatto si rischia che qualcuno magari ricominci ad usare il cervello). Il film parlava proprio del Sud America di oggi, e lo faceva guidato dalle parole del grande scrittore uruguayano Eduardo Galeano, del quale anni fa avevo letto, tra gli altri, “Le vene aperte dell’America Latina” (prima che il buon Ugo Chavez lo facesse salire agli onori delle cronache regalandolo al Presidente degli USA Obama - immagini poste proprio in apertura del documentario).
Mentre guardavo il film rivedevo alcuni dei momenti esaltanti (almeno per quelli che sono cresciuti con le convinzioni con cui sono cresciuto io) che hanno conosciuto finalmente le democrazie di molti paesi dell’America Latina in questi ultimi anni, ma una vicenda in particolare mi ha colpito e mi ha fatto riflettere su quello che è invece il momento che il mio paese sta attraversando.
Per mia disattenzione, aiutato devo dire dal non proprio imponente interesse mostrato dai nostri media, non avevo seguito il processo di riforma costituzionale intrapreso in un piccolo paese come l’Ecuador. Abituato ai progetti di riforma costituzionale di cui si sente parlare qui da noi, contraddistinti da una assoluta povertà, laddove non da una smaccata disonestà, di intenti, quello che è accaduto in Ecuador assume ai miei occhi i connotati di un sogno che un italiano, impegnato a dover far fronte alle miserie di questi anni “berluscosi”, può pensare di veder realizzato solo in paradiso e che invece, in quel piccolo paese dell’America Latina, è già diventato realtà.
Qui di seguito riporto alcune veloci info recuperate in rete sulla recente nuova Costituzione che l’Ecuador è riuscito a darsi (nonostante le resistenze dei chierici, che anche in questo caso non hanno perso l’occasione per fare la solita figuraccia da retrogradi oscurantisti, e di alcuni riccastri locali, preoccupati di non poter più fare affari sulle spalle della maggioranza della popolazione)
29 luglio 2008
«Niente per noi stessi, tutto per la patria» è il leitmotiv che, negli ultimi otto mesi, ha accompagnato i lavori dell’Assemblea Costituente ecuadoriana, impegnata a redigere la nuova Costituzione. Il testo definitivo, presentato pochi giorni fa alla presenza delle più alte autorità locali, verrà sottoposto a referendum il prossimo 28 settembre.
La nuova Carta, che dovrà riformare la struttura dello Stato, è il risultato di un processo democratico dall’alto valore simbolico. Dal 2006, il più piccolo tra i paesi andini è guidato da un giovane economista, Rafael Correa, che si ispira ai principi del socialismo del XXI secolo, un progetto che, in molteplici forme, sta trovando applicazione in vari paesi del Sudamerica. L’idea di riformare la Costituzione, promossa in campagna elettorale da Correa, è stata sottoposta a referendum nel settembre 2007: l’80 per cento degli ecuadoriani ha espresso il proprio sì e, poche settimane dopo, ha eletto i membri della Costituente. Otto mesi di tempo erano stati concessi dal popolo ecuadoriano per completare la riforma ed otto mesi sono stati utilizzati dai costituenti per realizzarla.
Ma, oltre ai tempi, sono i contenuti a farne un modello di organizzazione dello Stato e di convivenza civile e pacifica.
La nuova Costituzione ecuadoriana è improntata sul concetto del "buen vivir", il buon vivere, che rimette il cittadino e i suoi diritti al centro dello Stato. L’Ecuador, uno dei paesi più poveri del continente, garantirà l’educazione e la sanità gratuite per tutti nonchè l’accesso sicuro e permanente ad una alimentazione sana e sufficiente; l’acqua assurge a diritto umano inalienabile e si promuove la sicurezza alimentare. Si proibisce l’ingresso nel paese di rifiuti tossici e scorie nucleari, così come la produzione, commercializzazione e trasporto di armi chimiche, biologiche e nucleari, di contaminanti altamente tossici, di agrochimici proibiti a livello internazionale e di organismi geneticamente modificati.
Ma non finisce qui. L’Ecuador viene definito «territorio di pace» e si proibisce la costruzione di basi militari straniere o di installazioni straniere per fini militari; allo stesso modo, si proibisce la cessione a stranieri di basi o installazioni militari nazionali. Gli indigeni vedranno finalmente sancito il carattere plurinazionale dello Stato mentre kichwa e shuar, i due principali idiomi ancestrali, diventano lingue ufficiali in relazione di interculturalità con il castigliano.
L’Ecuador è uno dei principali esportatori di petrolio della regione, tanto che i proventi della vendita del greggio costituiscono la prima voce del Pil, seguiti dalle rimesse degli emigrati che, con il loro lavoro, contribuiscono allo sviluppo delle economie di Spagna, Italia e Stati Uniti. Nonostante questo, l’art. 15 della nuova Costituzione stabilisce che lo Stato promuoverà l’uso di tecnologie ambientalmente pulite e di energie alternative. In più, si riconosce il diritto della popolazione a vivere in un ambiente sano e si dichiara di interesse pubblico la preservazione dell’ambiente e la prevenzione del danno ambientale.
In Ecuador, come in molti paesi latinoamericani, l’informazione è da sempre controllata dalle poche famiglie che, nel corso degli anni, hanno detenuto il potere economico e politico. Se il 28 settembre il popolo ecuadoriano dirà Sì alla nuova Costituzione, anche l’informazione dovrà tornare ad essere libera: tutti avranno diritto ad una comunicazione libera, diversificata e partecipativa, con uguali possibilità di accesso alle tecnologie dell’informazione e all’utilizzo delle concessioni radiotelevisive. Lo Stato promuoverà la pluralità dell’informazione e non permetterà il monopolio o l’oligopolio nella proprietà dei mezzi di informazione.
L’Ecuador è anche il paese con il maggior numero di sfollati e rifugiati del continente. Sono quasi tutti colombiani irregolarmente entrati nel paese, in fuga da un conflitto che dura ormai da 50 anni e che, dopo la liberazione di Ingrid Betancourt, rischia di sprofondare nuovamente nel silenzio e nell’indifferenza. Nonostante questo, la nuova Carta costituzionale ecuadoriana riconosce a tutti il diritto a migrare mentre lo Stato non considererà illegale nessun essere umano a causa della propria condizione migratoria. Ogni immigrato che vive in Ecuador potrà fare ritorno nel proprio paese e lo Stato si impegnerà a garantire che tale rientro possa avvenire in maniera sicura e dignitosa, indipendentemente dall’avere o meno i documenti in regola. Allo stesso modo, garantirà anche agli immigrati irregolari l’assistenza sanitaria ed un’alimentazione adeguata.
Per Costituzione, tutti avranno diritto alla ricreazione, al tempo libero e alla pratica di almeno uno sport. Chiunque avrà diritto a vivere in una casa sicura e dignitosa, indipendentemente dalla situazione sociale o economica, e si riconoscono i diritti delle coppie di fatto anche omosessuali.
Infine, tutti i diritti e tutti i doveri previsti dalla nuova Costituzione riguarderanno sia i cittadini ecuadoriani che gli stranieri presenti nel paese, senza discriminazione alcuna.
Un risultato storico, dunque, che affonda le proprie radici nel passato recente del paese andino. In trent’anni di democrazia, l’Ecuador è stato caratterizzato da governi corrotti, politiche neoliberali dettate dal Fondo monetario e dalla Banca mondiale, banchieri che portavano all’estero i risparmi dei cittadini e poi dichiaravano fallimento. Un bel giorno, nell’aprile del 2005, dopo anni di lotte indigene che hanno aperto il cammino, la gente comune, gli anziani, gli studenti, i disoccupati, gli intellettuali, i pensionati, i professori, le casalinghe, armati di casseruole e pentole, scendono in strada e non rientrano nelle proprie case fin quando, dopo tre giorni di proteste, non vedono scappare a gambe levate l’ennesimo presidente corrotto. L’anno successivo, sale al potere il socialista Rafael Correa ed oggi il paese festeggia una «costituzione magnifica», come l’ha definita Alberto Acosta, ex presidente della Costituente ed una delle menti di questo progetto innovativo.
Nel frattempo, in Italia si intende dichiarare lo stato d’emergenza per gli immigrati mentre per l’immunità di pochi eletti si paralizza un paese intero. Niente per la patria, tutto per noi stessi.
Insomma, mi sa che mi tocca starmene a casa, che ormai il lavoro da fare, la “lotta”, è proprio qui, altro che Sud America… se invece mi vien voglia di andare a vivere in paradiso, stavolta parto per davvero!
Che iddio ti cerry!
Nessun commento:
Posta un commento