venerdì 30 settembre 2011

The only eulogy I'll need


Not everyone grows up to be an astronaut,
Not everyone was born to be a king,
Not everyone can be Freddie Mercury,
But everyone can raise a glass and sing,

Well I may not be a perfect kind of person,
And I may not do what mum and dad had dreamed,
But on the day I die I'll say at least I fucking tried,
And that's the only eulogy I'll need,
That's the only eulogy I'll need
Che iddio ti cerry!

domenica 25 settembre 2011

lunedì 19 settembre 2011

Preferisco la balbuzie

Parlare mi costa fatica, e non c'è da stupirsi: durante la guerra non si parlava. Ogni sciagura ribadiva: cosa c'è da dire? E non c'era davvero niente da dire. Chi è stato nel ghetto, nel campo di concentramento e nei boschi ha conosciuto il silenzio sul proprio corpo. In guerra non si discute, non si acuiscono le divergenze di opinione: in guerra si coltivano l'ascolto e la discrezione. La fame di pane, la sete di acqua, la paura della morte rendono superflue le parole. Non ce n'è bisogno. Nel ghetto e nel campo di concentramento solo coloro che impazzivano parlavano, spiegavano e cercavano di convincere. Chi era sano di mente non parlava.
Il mio sospetto nei confronti delle parole è nato allora. Una scorrevole sequenza di parole mi insospettisce. Preferisco la balbuzie, nella quale sento la frizione, l'irrequietezza, lo sforzo di purificare le parole dalle scorie, la volontà di porgerti qualcosa d'interiore. Le frasi levigate, scorrevoli mi danno una sensazione di mancanza di pulizia, di ordine, che nasconde il vuoto.

Non era la voce a parlare, in tempo di guerra, ma il volto e le mani. Dal volto potevi comprendere se l'uomo che ti stava vicino era disposto ad aiutarti, o se stava macchinando contro di te. Le parole non aiutavano a capire: erano i sensi a trasmetterti l'informazione giusta. La fame ci riporta agli istinti, al linguaggio che precede le parole. La mano che ti ha porto un pezzo di pane o una ciotola d'acqua quand'eri ormai in ginocchio per la debolezza, quella mano non la dimenticherai mai più.
La malvagità, come la generosità, non ha bisogno di parole.

Le parole riemersero solo dopo la guerra.

Le parole non hanno la forza di fronteggiare le grandi catastrofi; sono povere, misere e mistificanti. Nemmeno le antiche preghiere hanno la forza di affrontare le disgrazie.
All'inizio degli anni Cinquanta, quando cominciai a scrivere, sulla guerra scorrevano già fiumi di parole.
A volte recintiamo di parole le grandi catastrofi per proteggerci da esse. Le prime parole che uscirono dalla mia penna erano un'invocazione disperata a ritrovare il silenzio che mi aveva circondato durante la guerra, e a restituirmelo. I miei ciechi sensi capivano che in quel silenzio è racchiusa la mia anima, e che se fossi riuscito a farla resuscitare avrei forse ritrovato le parole giuste.
Ho cominciato a scrivere zoppicando.

Durante la guerra ho visto la vita nella sua nudità, senza abbellimenti. Il bene e il male, il bello e il brutto mi si sono rivelati mescolati. Ciò non ha fatto di me, grazie al cielo, un moralista. Anzi, ho imparato a rispettare la debolezza e ad amarla: la debolezza è la nostra essenza e la nostra umanità. L'uomo che conosce la propria debolezza sa a volte superarla. Il moralista ignora le proprie debolezze e invece di indirizzare le proprie pretese verso se stesso, le indirizza verso il prossimo.
Aharon Appelfeld

Che iddio ti cerry!

Chico & Rita


E nonostante la disorganizzazione che affiora un pò ovunque,
per sempre grazie al Milano Film Festival.

Che iddio ti cerry!

domenica 18 settembre 2011

Malinconia dell'attore

Avevi sentito parlare della malinconia dell'attore? Ora sai di cosa si tratta. Cala il sipario e, all'improvviso, tutto quel mondo di parole e di gesti, tutto quel mondo svanisce. Cala il sipario e all'attore non resta niente. (Silenzio) Un attore sta piantando un chiodo. Di colpo, cala il sipario. Allora si rende conto. Allora capisce, di colpo, qualcosa di terribile: capisce che, quando un attore sta piantando un chiodo, sta piantando un chiodo e, al tempo stesso, non sta facendo niente. (Silenzio) Cala il sipario e l'attore si trova con un martello in mano. Non sa cosa fare con quel martello. (Silenzio) Cala il sipario e l'attore torna alla vita. E non sempre la vita è gradevole. Tu lo sai bene come me, non sempre la vita è dolce. Non viviamo nel paradiso, Gerhard. Forse, un giorno. Però ancora no. (Silenzio) Cala il sipario e la vita deve continuare. La vita deve continuare. (Silenzio) "Siamo della stessa materia con cui sono fatti i sogni, e la nostra piccola vita è chiusa in un sogno". La tempesta, atto quarto, scena prima. All'improvviso, l'incantesimo si rompe. L'incantesimo si rompe e tutto torna alla vita, che è peggiore. (Silenzio) Ti immagini se potessimo continuare a recitare in eterno? Non è stato fantastico? Ci sono stati momenti formidabili.
...
La chiamano malinconia dell'attore. Cala il sipario e la vita deve continuare. La vita deve continuare, però, come? Cala il sipario e hai un martello tra le mani. Hai le mani. I piedi, il corpo. Però, che ci fai con tutto questo dopo che è calato il sipario? Gli attori sanno tutto ciò che c'è da sapere della vita, Gerhard. Dietro le parole e i gesti, non c'è niente, questa è l'unica verità. Quando un uomo sta piantando un chiodo, sta piantando un chiodo e, al tempo stesso, non sta facendo nulla. 
Juan Mayorga


Che iddio ti cerry!