lunedì 16 maggio 2011

Tutti a Cannes!

Sarà che ho voglia di cinema: ho scoperto che a Cannes c'è anche Kim Ki Duk...


CANNES - Il mistero Kim Ki-Duk l'ha svelato il Festival di Cannes. Il regista coreano, amato dai cinefili per film forti come L'isola e Ferro 3, era sparito. Quindici film in tredici anni. L'ultima opera, nel 2008, Dream. Poi, più niente.
Il direttore Thierry Fremaux ha chiesto notizie dell'autore in Corea, la risposta è stata Arirang, film presentato nella sezione Un Certain Regard e accompagnato da una lettera: «Mentre giravo una difficile scena di Dream, in cui una donna si suicida impiccandosi, l'attrice ha rischiato di morire veramente. Da quel momento sono andato in pezzi». Kim Ki-Duk, 50 anni, ha lasciato tutto, è andato a vivere in una baita in montagna, nella neve. Dormendo al freddo, avvolto in una tenda, costruendo da solo gli utensili necessari alla vita quotidiana, ma anche una pistola e un aggeggio per farsi il caffè. Con una camera da presa digitale ha intervistato se stesso, interrogandosi sul senso del proprio cinema e della propria vita.
«Quando la gente è triste in Corea canta una canzone antica, Arirang», dice il regista che ha l'aspetto di un asceta e va in giro scortato da Fremaux in persona. «Non potevo più fare film e allora ho deciso di filmare me stesso. E così racconto come vivo in quanto uomo e cineasta. Potrebbe essere un documentario, il mio, o un dramma o ancora un film fantastico. Niente è stato preparato questa volta. Ma avevo bisogno di fare un film per essere di nuovo felice. Ecco perché ho girato la videocamera dalla mia parte».



Ma c'è pure Robert Guediguian... 


CANNES - In mezzo ai lustrini, al delirio per i pirati, alle Jaguar dei mafiosi ucraini, non c´è cura migliore che immergersi nella vita di persone normali, operai alle prese con bollette, mutui, disoccupazione e libri per i figli. È il mondo delle Nevi del Kilimangiaro e del regista franco-armeno Robert Guédiguian. Dopo il bellissimo Le passeggiate al Campo di Marte sull´ultimo Mitterrand, e Il viaggio in Armenia, omaggio alla terra dei padri, il cinquantenne poeta del cinema politico torna nella sua Marsiglia, quella di Marius e Jeanette, fra i lavoratori del vecchio porto. È la storia di Michel, operaio cinquantenne, sindacalista, che nonostante la perdita del lavoro vive felice accanto alla sua Marie-Claire, allietato da figli e nipoti, orgoglioso del proprio impegno politico. Ma l´idillio si spezza quando nella loro casa fanno irruzione due ladri. Poco tempo dopo, Michel scopre che a derubarlo è stato un giovane operaio del porto, Christophe, disoccupato come lui. La rabbia per il tradimento, la voglia di vendicarsi cedono il campo, con il tempo, a una consapevolezza dolorosa dell´altro. Christophe non è un delinquente, ma un disperato che cerca in qualche modo di badare ai fratelli piccoli, di garantire loro un futuro migliore del suo.  Una storia semplice nella trama, non nelle emozioni, che ha il merito di rimettere al centro della scena il tema del lavoro. Il lavoro normale, visto che a dar retta alle trame dei film pare esistano al mondo soltanto artisti, intellettuali, manager della finanza e prostitute. Ed è addirittura capace di evocare il grande fantasma del conflitto sociale. Sepolto con la fine delle ideologie, rovesciato dal potere in una guerra di poveri contro più poveri, armata dalla trappola della sicurezza. La qualità di cineasta e di scrittore di cinema di Guédiguian è al solito sublime, come il livello degli attori e, perché no?, la bellezza dei loro volti normali, a cominciare dai protagonisti, Jean-Pierre Darroussin (Michel) e Ariane Ascaride (Marie-Claire), compagna e musa del regista, ma soprattutto una delle più formidabili attrici francesi. 

Che iddio ti cerry!

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